domenica 30 agosto 2020

COIN POT NUOVI PREMI VIP

 

RISPARMIO DI ACCESSO ISTANTANEO + PREMI!

 

 

 

 

Il sistema VIP Rewards ti consente di utilizzare il saldo dei tuoi gettoni CoinPot come un conto di risparmio ad accesso immediato e gratuito! Non ci sono commissioni e nessun vincolo, quindi sei libero di spendere / convertire i tuoi token in qualsiasi momento senza penalità. Oltre all'interesse quotidiano, riceverai anche altri premi a seconda del tuo livello di ricompensa.

COME FUNZIONA

  • Il sistema di ricompensa VIP entrerà in vigore dal 12 agosto 2020.
  • Subito dopo la mezzanotte (UTC) ogni giorno calcoleremo il tuo livello di ricompensa VIP in base al tuo saldo gettoni CoinPot corrente.
  • Sono disponibili 6 livelli di ricompensa VIP: Standard , Bronzo , Argento , Oro , Platino e Diamante . I requisiti e le ricompense per ogni livello sono descritti di seguito.
  • Una volta che il tuo livello di ricompensa VIP è impostato, rimane in vigore per il resto della giornata.
  • I premi vengono pagati / accreditati immediatamente, una volta che il tuo livello è stato calcolato.
  • L'interesse giornaliero viene calcolato sul saldo dei token al tasso pertinente e viene arrotondato per difetto al token più vicino.
  • Ciò significa che poiché il tasso di livello Standard è dello 0,02%, NON riceverai alcun interesse se il tuo saldo è inferiore a 5000 token.
  •  Le stelle delle Sfide contano per la classifica delle Sfide .
  • Qualunque I biglietti della lotteria gratuiti che ricevi devono essere utilizzati per un round della lotteria lo stesso giorno, altrimenti scadranno a mezzanotte!
  •  I token gratuiti vengono premiati durante il giorno per i reclami da uno qualsiasi dei nostri partner faucet.
  • Se prevedi di mantenere un grande saldo, ti consigliamo vivamente di proteggere il tuo account con una password lunga e casuale, che non viene condivisa con nessuno o utilizzata su altri siti.
  • Ti suggeriamo anche di abilitare 2FA sul tuo account: questo può essere fatto nella pagina Dettagli account .

martedì 3 marzo 2020

ATM CRYPTO A CHE PUNTO SIAMO?

Il lungo percorso degli ATM crypto

Il primo ATM Bitcoin è stato installato nel 2013 in una caffetteria di Vancouver da una società chiamata Robocoin. La macchina, che permetteva ai clienti di scambiare Bitcoin in contanti e viceversa, ha registrato transazioni pari a 10.000$ solo nel giorno del suo lancio.
Al momento, i 7.000 ATM sparsi per il mondo sono gestiti da 42 società diverse. Secondo i dati di CoinATMRadar, gli ATM di Robocoin sono solo due, mentre a vantare il maggior numero di macchine è Genesis Coin, con ben 2.348 ATM.
Secondo CoinATMRadar, nell'ultima settimana sono stati installati in media 11,7 ATM crypto installati al giorno.
Verso la fine del 2019, il produttore di ATM Bitstop ha stretto una partnership con il colosso statunitense dei centri commerciali Simon Malls, installando cinque macchine in altrettanti centri commerciali gestiti dall'azienda.
Anche l'aeroporto internazionale di Miami in Florida ha ricevuto un ATM da Bitstop nella seconda metà del 2019.
Gli ATM crypto avevano superato quota 6.000 solo di recente, nel novembre del 2019. 

Ciò dimostra come la domanda da parte del pubblico sia in continua crescita, così come la presenza e l'adozione degli asset digitali.


FONTE:COINTELEGRAPH 
https://it.cointelegraph.com/news/there-are-now-over-7-000-cryptocurrency-atms-worldwide


sabato 29 febbraio 2020

HALVING BITCOIN AUMENTERÀ IL VALORE?

Ci sono diversi passaggi che i miner dovrebbero adottare per mantenere alta la redditività anche in seguito all'halving.

 Per comprendere tutti i fattori in gioco, è innanzitutto importante esaminare ciò che rende il mining redditizio:
  • Hash rate e difficoltà;
  • Consumi energetici;
  • Costo dell'energia;
  • Block reward;
  • Tasso di cambio fra BTC e USD.

Hash rate e difficoltà

Il termine "hash rate" indica il numero di hash che il network di Bitcoin riesce ad elaborare ogni secondo. Viene utilizzato per calcolare la potenza di calcolo della rete, vale a dire quante volte il network tenta di aggiungere un nuovo blocco alla blockchain di Bitcoin.
L'hash rate è un ottimo indicatore dello stato di salute della rete. Non può essere calcolato con precisione, ma può essere stimato in base alla difficoltà di mining corrente e al tempo di conferma dei blocchi.
Generare nuovi Bitcoin non è affatto semplice, e diventa sempre più difficile man mano che nuovi miner si uniscono al network. La difficoltà di mining è correlata all'hash rate complessivo del network, e pertanto al grado di competizione fra i miner: più persone tentano di risolvere un blocco e più questa operazione risulterà difficile.
I miner possono incrementare le proprie possibilità di successo impiegando dispositivi ASIC (Application-Specific Integrated Circuit), progettati appositamente per tale scopo e pertanto particolarmente efficienti. Inoltre, molto spesso i miner si uniscono a delle mining pool nelle quali i profitti vengono condivisi fra tutti i partecipanti. L'obiettivo finale del mining è generare un nuovo blocco sulla blockchain e ottenere ricompense maggiori rispetto ai costi.
L'halving non dovrebbe avere un impatto significativo sulla difficoltà di mining. Potremmo comunque assistere ad una sua leggera riduzione, in quanto è probabile che i miner meno efficienti, che non riescono più a generare profitti, abbandoneranno il network.

Consumi energetici

L'efficienza energetica dei dispositivi di mining ha un impatto enorme sulla redditività. Se i miner utilizzano una quantità eccessiva di energia, e in questo modo il costo dell'elettricità risulta più alto rispetto al valore della ricompensa, di fatto si è andati in rosso.
Un dispositivo più efficiente permette di consumare meno energia e, di conseguenza, generare maggiori profitti. E affinché l'attività di mining rimanga remunerativa anche in seguito all'halving, saranno necessari dispositivi con un alto tasso d'efficienza. Macchine più datate, come ad esempio l'Antminer S9, diventeranno obsolete e dovranno essere rimpiazzate con miner più moderni come l'Antminer S17.

Costo dell'energia

Ovviamente, non soltanto i consumi ma anche il costo dell'energia stessa è molto importante per un miner. In seguito all'halving quindi non saranno necessarie soltanto macchine estremamente efficienti, ma bisognerà anche condurre le proprie operazioni in luoghi dove il costo dell'elettricità risulta particolarmente basso.
I centri di mining colocation offrono un'alta potenza di calcolo e un basso costo dell'energia, nonché altri vantaggi come sorveglianza 24/7 e monitoraggio dell'equipaggiamento. Queste strutture all'avanguardia sono un'opzione oggigiorno molto popolare fra i miner.

Block reward

Questo è il fattore che verrà modificato dall'halving. Attualmente la ricompensa per la generazione di un nuovo blocco sulla blockchain è di 12,5 BTC, ma in seguito all'halving passerà a 6,25 BTC: questo significa che le entrate dei miner verranno pressoché dimezzate.
Per sopperire a questa riduzione, i miner dovranno incrementare la propria potenza di calcolo e ridurre i costi delle operazioni.

Tasso di cambio fra BTC e USD

Storicamente, il prezzo di Bitcoin ha sempre risposto in maniera positiva agli halving precedenti. Assisteremo a dei rialzi anche in seguito al dimezzamento di quest'anno? Nessuno può dirlo per certo: si tratta di un argomento molto discusso nella comunità delle criptovalute e le opinioni sono molto diverse fra loro.

 Dando uno sguardo ai due halving precedenti, avvenuti nel 2012 e nel 2016, Bitcoin ha raggiunto nuovi massimi storici dopo circa un anno dal loro avvenimento: non c'è quindi alcun dubbio che anche l'halving di maggio avrà un impatto sul mercato. Nessuno può prevedere con certezza cosa accadrà, ma se la domanda per Bitcoin dovesse rimanere invariata mentre la scarsità aumenta, è lecito aspettarsi un incremento del prezzo. Di quanto, difficile dirlo.

 https://criptovalutae.blogspot.com/2016/11/bitcoin-halving-perche-avviene.html


FONTE: COINTELEGRAPH
https://it.cointelegraph.com/news/are-miners-prepared-for-the-halving-of-bitcoin

mercoledì 15 gennaio 2020

BLOCKCHAIN SI PUÒ BREVETTARE?


LA TECNOLOGIA BLOCKCHAIN È DAVVERO INNOVATIVA?UN'ANALISI SULLA BREVETTABILITÀ DELLA TECNOLOGIA BLOCKCHAIN A LIVELLO INTERNAZIONALE

 Nell'immaginario collettivo il binomio blockchain/bitcoin è inscindibile, ma non è sempre stato così. Infatti, la blockchain venne teorizzata per la prima volta nel 1991 da una coppia di inventori, Haber e Stornetta, come tecnologia per garantire l'integrità di documenti digitali. 

E' stato solo nel 2008 che un inventore anonimo noto con lo pseudonimo di Nakamoto ne ha implementato il concetto teorico, coniando il termine block chain e legandolo alla criptovaluta bitcoin
In pratica, Nakamoto ha ripreso l'idea di una catena di blocchi (block chain, appunto) crittograficamente protetta mediante l'utilizzo di marcatori temporali, adattandola al settore finanziario ed elaborando un sistema di pagamento elettronico basato su prova crittografica che consenta a due controparti di negoziare tra loro senza la necessità di una terza parte garante.Questa precisazione sulle origini è essenziale in ambito brevettuale, poiché per sapere se la propria invenzione è anticipata da un brevetto altrui è necessario effettuare una ricerca di arte nota e, utilizzando come parola chiave "blockchain", la ricerca non sarebbe esaustiva. 

 Per poter essere brevettata, infatti, una qualsiasi invenzione deve soddisfare tre condizioni: essere nuova, inventiva (cioè non risultare ovvia per un esperto del settore) e atta allo sfruttamento industriale. La blockchain, rientrando tra le invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici, deve poi scontrarsi con la legislazione europea secondo cui i programmi per elaboratori non sono brevettabili "in quanto tali", ma solo se in grado di apportare un contributo tecnico allo stato dell'arte. Ciò si traduce nel fatto che il codice sorgente di una applicazione presente sul nostro dispositivo non sia brevettabile (è però protetto dal diritto d'autore), ma che la stessa applicazione sia brevettabile se configurata mediante il codice sorgente per eseguire una operazione tecnicamente innovativa, indipendentemente dalla natura di tale operazione. Quindi, ad esempio, non c'è invenzione se la porzione di codice progettata per una applicazione volta all'acquisto di abbigliamento viene utilizzata per l'acquisto di viaggi. Se quanto scritto sopra è valido per il brevetto europeo e quello americano, la situazione in Oriente ha delle leggere differenze. Ad esempio, il Giappone ha delle aperture maggiori verso la tecnologia blockchain: le condizioni di brevettabilità sono più facili da soddisfare in quanto, oltre al contributo tecnico rispetto allo stato dell'arte, è ammesso anche un contributo in termini non tecnici. Quindi, tornando all'esempio di cui sopra, in Giappone l'applicazione per l'acquisto di abbigliamento può risultare brevettabile se applicata all'acquisto di viaggi. La Cina ha recentemente introdotto alcune modifiche alla procedura d'esame che la avvicinano alla situazione giapponese. Inoltre, il paese sta attuando una politica volta allo sviluppo della blockchain con investimenti finanziari, la promulgazione della legge sulla crittografia e la nascita dello yuan digitale. 

L'unico limite che detta è legato alle criptovalute: in base all'art. 5 della legge cinese sui brevetti, le invenzioni dannose per l'interesse pubblico non sono consentite e la Cina ha stabilito che questo è il caso delle valute virtuali.Vista la complessità della natura della blockchain, per una valutazione effettiva della brevettabilità di un'invenzione che la utilizzi, è indispensabile il parere che solo consulenti specializzati in diritti di proprietà industriale possono fornire.

giovedì 9 gennaio 2020

BIT COIN PROGRAMMI DI INVESTIMENTO MENSILI MOLTO REDDITIZI

https://dcabtc.com/
Visualizza l'immagine su Twitter

Il grafico che ha pubblicato mostra l’andamento di un ipotetico programma di investimento di questo tipo, con un totale di 530 dollari investiti, al ritmo di 10 dollari per ognuna delle ultime 53 settimane. 

In totale con questo programma sarebbero stati acquistati oltre 9 milioni e mezzo di satoshi (0.09564 BTC), il cui valore ad oggi sarebbe di circa 790 dollari. 
In altre parole, l’investimento avrebbe prodotto 260 dollari di guadagni, pari al 49,13% dell’importo investito (530 $). 

Per effettuare questi calcoli ha utilizzato un apposito tool online, dcabtc.com, che consente proprio di simulare i risultati di programmi di investimento di questo genere. 


Sempre Pompliano ha poi simulato anche il risultato di un programma da 10 dollari settimanali negli ultimi due anni, con un ipotetico guadagno del 27%, e di uno simile negli ultimi tre anni, con un guadagno del 156%.

Risultati simili, in percentuale, a quelli prodotti dalle simulazioni di Pompliano si ottengono ad esempio immaginando un investimento di 5 dollari al giorno, per i medesimi periodi, o di 100 dollari al mese

In particolare investendo 100 dollari al mese negli ultimi 12 mesi, si sarebbe potuto ottenere un rendimento del 54,82%, con 1.200 dollari investiti in un anno, e 657 dollari guadagnati. 

La cosa interessante che questo tipo di simulazioni suggerisce è che con questa modalità si sarebbe ottenuto un rendimento, sul lungo periodo, anche includendo il 2018, ovvero l’anno dell’ultimo bear market. 

Infatti, se si effettua una simulazione limitandosi al solo 2018, il risultato risulta essere in perdita, ma se si unisce il 2018 al 2019, il risultato rimane positivo. 

Ad esempio, investendo 100 dollari al mese, partendo da novembre 2017 fino a ottobre 2019, il risultato sarebbe comunque positivo, con un guadagno del 27,58%, ovvero 2.400 $ investiti e 661 guadagnati.


ESTRATTO DA:https://cryptonomist.ch/2019/11/28/pompliano-twitter-chi-guadagna-con-bitcoin/


lunedì 6 gennaio 2020

BIT COIN COME CAPITALE SOCIALE DI UNA SOCIETÀ

La procedura per tale azione deve essere sempre la seguente:

  • Il socio apportante presenta una perizia atta a dimostrare in modo verosimile che il bene offerto per incrementare il valore del capitale sociale sia suscettibile di valutazione economica.
  • Il notaio rogante attesta il valore in base agli elementi di tipo oggettivo in suo possesso trasmessi dal perito, il quale, per l’autorevolezza attribuitagli dall’iscrizione all’Albo fra i soggetti titolati dalla legge, certifica (sotto la propria responsabilità civile e penale) detto valore, giurando di aver adempiuto con diligenza e coscienza.
Il notaio, pertanto, non ha alcun titolo per entrare nel merito della tipologia dell’apporto né tampoco dell’attitudine del bene offerto in apporto ad essere suscettibile o meno di valutazione economica. 

La funzione del notaio è solo quella di natura certificativa del dato. 


La domanda proposta ai giudici, quindi, non è stata, come tutti hanno commentato, di poter sapere se fosse o meno apportabile una ricchezza in moneta virtuale per incrementare il capitale sociale, bensì se la criptovaluta fosse da considerarsi un bene apportabile con le forme previste dall’articolo 2464 c.c. e quindi periziabile in quanto vi sono forme diverse di apporto.

La Corte d’Appello ha semplicemente spiegato che la criptovaluta oggetto della domanda non può essere apportata per incrementare il capitale sociale con le forme previste dall’articolo di cui sopra semplicemente perché non è un bene ma una moneta e quindi non periziabile. 

La “criptovaluta” è quindi da considerarsi, a tutti gli effetti, come moneta, e cioè quale mezzo di scambio nella contrattazione in un dato mercato, atto ad attribuir valore, quale contropartita di scambio, ai beni e servizi, o altre utilità, ivi negoziati.”.   

 Come a dire che sostanzialmente non è possibile periziare un mezzo di pagamento surrogatorio del denaro.
La sentenza poi afferma l’inidoneità delle criptovalute in genere (come opinione non vincolante del Giudice) ad essere inclusa nel capitale sociale di una società di capitali attesa la volatilità di questo nuovo strumento di pagamento.

Avrà forse voluto dire che se una criptovaluta non avesse alcuna volatilità potrebbe certamente ottenere maggiori possibilità di intervenire positivamente sulla capitalizzazione della società?
Risposta affermativa.
Nel caso di specie il controvalore in euro di spendibilità della moneta in epigrafe non ha mai subito oscillazioni ed ha sempre avuto una crescita costante nel tempo con un consenso condiviso del suo controvalore su base mondiale (ovvero con oltre dieci milioni di titolari effettivi in tutti i paesi del mondo).

In ogni caso la pronuncia, laddove solleva dubbi sulla capacità del capitale sociale in criptovaluta ad offrire garanzie a favore dell’affidamento dei terzi circa la solvibilità societaria (proprio in relazione alla volatilità delle criptovalute) trova clamorosa smentita nel consolidato orientamento della giurisprudenza più accreditata secondo il quale il capitale sociale non è più elemento statico di garanzia per i terzi, in quanto può essere tranquillamente speso dalla società pur in presenza di una dichiarazione presso la camera di commercio di “Capitale interamente versato”. Del resto, è a tutti noto come in Italia le società di capitali (siano esse a responsabilità limitata o per azioni) non abbiano il proprio capitale sociale “interamente versato” nonostante ciò sia scritto nella “visura camerale”: nella frase, infatti, manca la locuzione “sempre” accanto alla parola “interamente versato”.

Ed è proprio qui la chiave di volta del nostro ragionamento logico.
Il nostro codice offre all’organo amministrativo (ed appunto a tutela dei terzi) il medesimo strumento previsto per l’aumento di capitale, ovvero la delibera assembleare per diminuire il capitale nel caso in cui gli apporti perdessero parte del loro valore.


Quindi il creditore sociale è garantito in base a due principi:

1- L’acquisizione nel capitale sociale (da parte della società beneficiaria) dei wallet identificati numericamente nel contesto di un sistema definito di Blockchain (quindi assolutamente non falsificabile, inviolabile e certificato ed attendibile) descritti in un atto pubblico conferiscono al creditore sociale l’assoluta certezza della individuazione non solo del titolo riconducibile alla sfera giuridica della società ma addirittura del valore monetario di detto titolo.

2- La pubblicazione sul sito istituzionale della società emittente delle condizioni che regolano le operazioni di “congelamento” dei wallet sottoposti alle severissime operazioni di controllo della sede centrale sono una garanzia straordinaria per i creditori sociali perché qualsiasi creditore munito di titolo esecutivo che dovesse notificare alla società emittente un provvedimento esecutivo nei confronti della sua debitrice (sotto forma di pegno presso terzi) potrà ottenere la sostituzione dell’intestazione dei wallet aggrediti. 

Anche in questo caso va detto che la criptovaluta in esame è quindi una criptovaluta veramente pignorabile e quindi la sua aggredibilità è di fatto una certezza di tutela dell’altrui affidamento:

 sul punto si osserva che è stata prodotta documentazione in sede giudiziale nel contesto della quale la società emittente ha dichiarato di obbligarsi a trasferire il contenuto dell’account riferito al debitore nel caso di ordine del giudice.

Altro elemento di riflessione non evidenziato dai commentatori delle sentenze è l’assoluta inidoneità della pronuncia in epigrafe a creare giurisprudenza condizionante: essa promana, infatti, dalla Sezione della volontaria giurisdizione. In questo ambito non vi sono contraddittori ma esiste solo un rapporto di natura per così dire privatistica tra il soggetto di diritto e lo Stato che verte esclusivamente sull’analisi di un atto sottoposto al vincolo della critica giurisdizionale (per ciò infatti si chiama Volontaria giurisdizione): così pertanto è il cittadino che “volontariamente” sottopone al vaglio del Giudicante una sua azione frutto della propria libera scelta e dell’autonomia negoziale riconosciuta dal nostro Ordinamento.
Quindi, nel nostro caso, se oggi un notaio ritenesse di omologare un aumento di capitale con criptovaluta in base a criteri oggettivi di valutazione economica diversi, nessuno potrebbe obbiettare nulla di nulla.
Del resto, l’impegno di sottoscrivere l’aumento del capitale sociale da parte di un socio non è altro che l’adempimento di un’obbligazione che può avvenire nelle forme previste dalla legge attraverso diverse modalità: la compensazione di crediti, la rinuncia a controcrediti, il pagamento con moneta avente corso legale oppure anche attraverso il pagamento con moneta non avente corso legale se le parti lo dovessero concordare. A ciò si aggiunga che la pronuncia in questione, per legge, non è impugnabile e quindi non sottoponibile al vaglio della Suprema Corte di Cassazione la quale, come è noto, ha sicuramente un’autorevolezza ed un potere giuridico condizionante assolutamente predominanti rispetto ad una sentenza di merito. 

E’ ben per questo che la Corte di Brescia nulla ha rilevato rispetto al fatto che il sottoscritto abbia evidenziato come tre anni or sono è stata costituita una società con l’intero capitale sociale (e non il 51% come nel nostro caso) in BitCoin denominata Oraclize srl.

La prova della assenza di autorevolezza “erga omnes della pronuncia è che ovviamente la società Oraclize srl è tuttora in vita con l’indicazione presso la camera di commercio locale di un capitale sociale interamente versato ...in euro.
Le motivazioni che portano all’evidenza di una soluzione positiva circa l’introduzione nel capitale sociale della criptovaluta con le caratteristiche sopra descritte sono qui di seguito riassunte. 
La Sentenza della Corte Europea 22.10.15 V° sezione afferma che: “Richiamando una relazione del 2012 della Banca Centrale Europea sulle valute virtuali, il giudice del rinvio indica che una valuta virtuale può essere definita come un tipo di moneta digitale non regolamentata emessa e controllata dai suoi sviluppatori ed utilizzata ed accettata dai membri di una specifica comunità virtuale” .

La più autorevole dottrina (ROSAPEPE, Conferimenti, in Comm. Sandulli, Santoro, artt. 2462-2510, Torino, 2003, 26) ha confermato che può essere conferito nella Srl qualsiasi bene o utilità, purché possa essere valutato economicamente e, quindi, sussista la concreta possibilità di stimare in termini obiettivi l’entità conferita: è pertanto possibile conferire in una Srl diritti su marchi o su altri segni distintivi, diritti di brevetto, diritti patrimoniali d’autore, il know how o l’avviamento commerciale, un segreto industriale o un’invenzione non ancora brevettata e persino crediti o rinunce ai predetti.
Quindi se per il nostro ordinamento sono conferibili anche (ed oserei dire persino) i crediti non si comprende per quale ragione non lo possano essere le criptovalute.


È per questo che nell’atto costituente della prima società srl italiana il cui capitale sociale è stato versato interamente in criptovaluta BitCoin (la Oraclize S.r.l. già menzionata) è stato possibile usare le criptovalute. Nell’atto il notaio rogante afferma che, sebbene la natura giuridica delle criptovalute sia ancora incerta, è stato possibile costituire una società usando i “BitCoin” perché questi ultimi sarebbero comunque una rappresentazione digitale di un valore e anche se non sono emessi da autorità centrali o pubbliche e se sono slegati da monete aventi corso legale, possono essere usati come mezzo di scambio e possono essere conservati o commercializzati elettronicamente. Poiché, insomma, può essere attribuito loro un valore, possono essere conferiti nel capitale di una società

Nell’ambito della costituzione gli estensori dell’atto si erano posti il problema di che cosa potesse accadere se il valore dei BitCoin, noto per essere particolarmente altalenante, avesse dovuto scendere al punto che il valore economico conferito diventasse inferiore ai 10mila euro dichiarati in sede di assemblea (ovvero il capitale sociale).
Sul sito Coinlex (piattaforma informatica di riferimento nel mondo delle criptovalute) si legge: “«Vanno reintegrati se il loro valore scende sotto un terzo», lo commenta a La Stampa Stefano Capaccioli, il commercialista che ha seguito l’operazione nonché co-fondatore di AssoB.it, associazione che rappresenta le imprese del mondo BitCoin”: così, infatti, è accaduto nell'atto notarile ove l'amministratore ha ottenuto dai soci l'impegno alla reintegrazione del capitale nel caso in cui ci fosse una svalutazione della criptovaluta utilizzata.
Tornando alla legittimità dell'apporto in criptovalute va rilevato che l’AGENZIA DELLE ENTRATE rispondendo ad un interpello (interpello n. 956-39/2018 A.E.) di un contribuente ha chiarito in modo inequivocabile che il possesso di moneta virtuale deve comunque essere oggetto di inserimento nel quadro “RW” della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e che la differenza di valore tra il controvalore in euro all’atto dell’acquisto e quello all’atto della loro liquidazione, è sottoponibile alla tassazione del 26%. In ogni caso le monete virtuali sono da interpretarsi sotto il profilo fiscale come valute estere.
Appare quindi evidente che, se un patrimonio per il quale si è fornita la prova della sua spendibilità per l’acquisto di beni e servizi oggetto di tassazione (autovetture - soggiorni in hotel - materiale informatico etc...) è a sua volta IDENTIFICATO DALL’AGENZIA DELLE ENTRATE come appartenente alla sfera giuridica di un soggetto e tassabile in relazione alla sua redditività, detto patrimonio esiste, ha un valore e quindi può essere oggetto di apporto.  
In relazione alla funzione dell’apporto, poi, autorevole dottrina ritiene che i conferimenti abbiano prevalente funzione di produttività, più che di garanzia, posto che nulla impedisce alla società di convertire tutti i conferimenti in entità non espropriabili dai creditori, immediatamente dopo la costituzione (così la dottrina dominante: CAMPOBASSO, 178; PORTALE, Capitale sociale e conferimenti nella società per azioni, in RS, 1970, 33).

La criptovaluta in generale (e più che mai una criptovaluta che si usa su una piattaforma di spendibilità condivisa) va considerata come strumento atto all’assolvimento di obbligazioni tipiche e definite dal nostro codice e quindi ottiene di per sé il grado di “valore” economicamente rilevante.
Questo rivoluzionario strumento di pagamento supera i confini della territorialità perché oggi un italiano può vendere (attraverso la piattaforma di spendibilità della moneta in epigrafe) ad un soggetto bulgaro o ceco di Praga beni e servizi ricevendo in cambio monete spendibili subito in Italia mediante l’acquisto (sulla medesima piattaforma o verso soggetti che accettano le monete) di beni mobili ed immobili. Diversamente otterrebbe LEV (dal Bulgaro) o CORONE (dal Ceco) che in Italia non potrebbe spendere o convertire agevolmente in euro.



Alla luce di quanto sopra esposto appare evidente l’assoluta compatibilità della criptovaluta o comunque delle monete digitali spendibili con il concetto di ricchezza apportabile da un socio per incrementare il capitale sociale della propria società. 

 ESTRATTO DA:    AVVOCATO SERGIO OLIVIERI
https://www.sergiooliveri.com/it/aumento-del-capitale-sociale-di-una-srl-con-criptovaluta 

mercoledì 1 gennaio 2020

COIN POT CHANGES TO MINIMUM DEPOSIT AND WITHDRAWAL AMOUNTS

Changes to minimum deposit and withdrawal amounts
Due to the recent fluctuations in the value of the coins that we support on CoinPot, we have had to make immediate changes to minimum amounts that can be deposited and withdrawn.
The new amounts are detailed in the table below and take effect immediately.
VERY IMPORTANT: Any deposits received for less than the minimum amounts shown below WILL NOT BE CREDITED TO YOUR ACCOUNT
Bitcoin Core (BTC)
Minimum deposit amount: 0.001 btc
Minimum withdrawal amount: 0.0001 btc
Bitcoin Cash (BCH)
Minimum deposit amount: 0.01 btc
Minimum withdrawal amount: 0.001 btc
Dogecoin (DOGE)
Minimum deposit amount: 1000 doge
Minimum withdrawal amount: 100 doge
Litecoin (LTC)
Minimum deposit amount: 0.01 ltc
Minimum withdrawal amount: 0.002 ltc
Dash (DASH)
Minimum deposit amount: 0.02 dash
Minimum withdrawal amount: 0.002 dash

 ISCRIVITI A BIT FUN:
http://bitfun.co/?ref=8057F2BA7BC5
ISCRIVITI A BONUS BITCOIN:
http://bonusbitcoin.co/?ref=B883C95823AA
ISCRIVITI A MOON BITCOIN:
 http://moonbit.co.in/?ref=44051bc63d4f
ISCRIVITI A MOON DOGECOIN:
http://moondoge.co.in/?ref=2043e7819357
ISCRIVITI A MOON LITECOIN:
http://moonliteco.in/?ref=5aec1c711ed4
ISCRIVITI A MOON DASHCOIN:
http://moondash.co.in/?ref=285F6C70D4D8
ISCRIVITI A MOON CASH COIN
http://moonbitcoin.cash/?ref=3C5E4F935A3B


domenica 29 dicembre 2019

RISCATTO IN BITCOIN COME FARE PER ELIMINARE I RAMSOMWARE



I ransomware sono virus informatici che rendono inaccessibili i dati dei computer infettati e chiedono il pagamento di un riscatto per ripristinarli.

Che cosa sono i ransomware, 
Con la parola ransomware viene indicata una classe di malware che rende inaccessibili i dati dei computer infettati e chiede il pagamento di un riscatto, in inglese ransom, per ripristinarli. Tecnicamente sono Trojan horse crittografici ed hanno come unico scopo l’estorsione di denaro, attraverso un “sequestro di file”, attraverso la cifratura che, in pratica, rende il pc inutilizzabile. Al posto del classico sfondo vedremo comparire un avviso che sembra provenire dalla polizia o da un’altra organizzazione di sicurezza e propone un’offerta. In cambio di una password in grado di sbloccare tutti i contenuti, intima di versare una somma di denaro abbastanza elevata (comunque quasi sempre sotto i 1.000 euro): in genere la moneta usata è il bitcoin, la valuta elettronica. L’obiettivo dei malintenzionati è, quindi, quello di batter cassa.




 Dietro all’industria del ransomware non ci sono semplici hacker, ma vere e proprie organizzazioni criminali che hanno raggiunto un alto livello di efficienza ed organizzazione: quindi, dopo averci criptato tutti i file, faranno comparire nel computer attaccato una schermata dove vengono date dettagliate istruzioni (spesso in buon italiano!) per accedere alla rete TOR e pagare il riscatto.

Come si prende un ransomware

Uno dei principali canali di diffusione dei ransomware sono i

 BANNER PUBBLICITARI dei siti con contenuti per adulti.

EMAIL(in maniera molto simile alle email di phishing) che ci invitano a cliccare su un determinato link o a scaricare un certo file:

POSTA ELETTRONICA che viene mascherata in modo che risulti inviata da qualcuno di cui ci fidiamo, ad esempio un collega di lavoro.


VULNERABILITÀ presenti nei vari programmi – come Java, Adobe Flash e Adobe Acrobat – o nei diversi sistemi operativi. In quest’ultimo caso, il software malevolo si propaga in maniera autonoma senza che l’utente debba compiere alcuna azione.

I vettori d’infezione utilizzati dai ransomware sono sostanzialmente i medesimi usati per gli altri tipi di attacchi malware:
  1. Email DI phishing:  attraverso questa tecnica, che sfrutta il social engineering (ingegneria sociale) vengono veicolati oltre il 75% dei ransomware. le statistiche ci dicono che nel 30% dei casi questi messaggi vengono aperti dagli utenti ed addirittura in oltre il 10% dei casi vengono cliccati anche gli allegati o i link presenti nelle email, permettendo così l’infiltrazione del malware!
  2.  Navigazione su siti compromessi:  il cosiddetto “drive-by download” (letteralmente: scaricamento all’insaputa) da siti nei quali sono stati introdotti (da parte di hacker che sono riusciti a violare il sito) exploit kit che sfruttano vulnerabilità dei browser, di Adobe Flash Player, Java o altri. Si presentano, per esempio come banner pubblicitari o pulsanti che ci invitano a cliccare. A quel punto verremo indirizzati su siti malevoli, diversi dall’originale, ove avverrà il download del malware.
  3. All’interno  di altri software che vengono scaricati:  per esempio programmi gratuiti che ci promettono di “crackare” software costosi per utilizzarli senza pagare. È una pratica che oggi è diventata assai pericolosa, perché il crack che andremo a scaricare sarà un eseguibile (.exe) dentro il quale ci potrebbe essere anche una brutta sorpresa.
  4. Attacchi attraverso il desktop remoto (RDP: remote desktop protocol, in genere sulla porta 3389): sono attacchi con furto di credenziali (in genere di tipo “brute force”) per accedere ai server e prenderne il controllo. Uno dei più noti è LOKMANN.KEY993.

PC Cyborg: Il primo ransomware della storia

Era il 1989, quando quello che viene considerato il primo ransomware della storia ha fatto il suo debutto. Battezzato “PC Cyborg”, perché i pagamenti erano diretti a una fantomatica “PC Cyborg Corporation”, il malware bloccava il funzionamento del computer giustificandolo attraverso la presunta “scadenza della licenza di un non meglio specificato software”. Si chiedevano 189 dollari per far tornare tutto alla normalità. Era realizzato da Joseph Popp. Fu diffuso a un congresso sull’Aids, mediante floppy disk infetti consegnati ai partecipanti: inserendo il floppy disk il virus si installava e criptava i file.
Questo ransomware ebbe una diffusione estremamente limitata, perché poche persone usavano un personal computer, internet era una rete per soli addetti ai lavori (quindi si trasmetteva via floppy disk), la tecnologia di criptazione era limitata e i pagamenti internazionali erano molto più macchinosi.
Da quel momento in avanti questi virus hanno fatto passi da gigante, diventando sempre più sofisticati: le chiavi crittografiche utilizzate sono sempre più difficile da decifrare, e il messaggio che ci avverte del blocco del pc compare nella lingua del malcapitato, grazie a tecniche equiparabili alla geocalizzazione.


Come proteggersi dai ransomware:

  • La miglior protezione è la prevenzione. Il primo passo da fare è aggiornare sempre sia il nostro antivirus che il sistema operativo.
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  • Utile è anche un backup dei dati, cioè una copia dei propri file. Un’operazione che va eseguita periodicamente in un hard disk esterno, ad esempio una chiavetta Usb. In questo modo, se il ransomware dovesse infettare il pc, una copia dei dati rimarrebbe protetta, dandoci l’opportunità di ripristinarli all’occorrenza.

  • Se si viene attaccati, invece, le buone pratiche dicono che non bisogna mai pagare il riscatto. Ma rivolgersi a un’azienda che si occupa di sicurezza informatica. Ecco un approfondimento però sulle valutazioni da fare se pagare o no in caso di attacco ransowmare.


Cosa fare se siamo stati colpiti da un ransomware

In questa malaugurata ipotesi (ma potrebbe sempre accadere), le opzioni sono sostanzialmente quattro:
  1. Ripristinare i file da un backup (la soluzione migliore, l’unica che dovrebbe prendere in considerazione un’azienda ben organizzata).
  2. Cercare un “decryptor” in rete per decriptare i file (funziona solo in alcuni casi).
  3. Non fare nulla e perdere i propri dati.
  4. Pagare il Riscatto (“Ransom”).
Vediamole più in dettaglio:

1) Ripristinare i file da un backup

È la soluzione migliore, l’unica che dovrebbe essere presa in considerazione se abbiamo operato con attenzione e ci siamo organizzati con una corretta gestione di salvataggio periodico dei nostri dati. Ovviamente per fare un ripristino è necessario avere una copia di backup che sia disponibile, recente e funzionante.
Anche nello scenario peggiore di mancanza di un backup, conviene fare un’indagine approfondita che ci potrebbe far recuperare copie dei file più importanti. Potremmo recuperarli dal cloud (Dropbox ed altri cloud ci possono aiutare, perché prevedono il “versionamento” dei file, quindi si può recuperare una versione precedente, non cancellata dal ransomware.
Se siamo in possesso di un backup utilizzabile, occorre però procedere ad una bonifica della macchina (o delle macchine) infettate, prima del ripristino dei dati. La bonifica può essere fatta con più scansioni antivirus per assicurarsi che il software dannoso sia stato rimosso, ma per essere certi al 100% che non ci siano più tracce di qualsiasi tipo di malware, è consigliabile procedere ad una formattazione completa della macchina attaccata. Solo a questo punto si può procedere al ripristino dei dati da backup.

2) Cercare un “decryptor” in rete per decriptare i file

La grande proliferazione delle varietà di ransomware nel corso di questi ultimi 2-3 anni ha fatto sì che i maggiori vendor di sicurezza mondiali abbiamo cercato di trovare gli “antidoti” a questi malware. Ed in alcuni casi ci sono anche riusciti: per alcune versioni di ransomware meno recenti sono stati creati (e resi disponibili in rete) programmi e tool in grado di recuperare i file crittografati. Si tratta comunque di procedure non elementari e spesso complesse, che raramente hanno successo con i ransomware più recenti e meglio realizzati. Dopo tutto, anche gli hacker leggono gli stessi blog e forum di sicurezza e aggiornano i loro prodotti per renderli inattaccabili ai decrypter. Per esempio: le prime versioni di Petya avevano punti deboli nella chiave di cifratura e questo permetteva di ricavare la chiave crittografica. Nelle versioni successive gli hacker hanno chiuso questa falla. Anche il ransomware TeslaCrypt (uno dei più diffusi) aveva delle debolezze che permettevano di recuperare la chiave privata con alcuni tools appositi (TeslaDecoder, TeslaCrack, ecc.). Dalla versione 3.0 di TeslaCrypt questo difetto è stato eliminato e la crittografia AES 256 bit ha reso impossibile qualsiasi recupero della chiave di decriptazione.
Quindi questa opzione ha basse probabilità di successo (praticamente nessuna se la cifratura è stata fatta con algoritmi di crittografia forte come AES 256, Salsa20 o altri), ma può valere comunque la pena di tentare una ricerca in rete.
Segnalo a questo scopo l’utilissimo sito “No More Ransom!” https://www.nomoreransom.org/it/index.html .
È stato creato nel 2016 dal National High Tech Crime Unit della polizia olandese, dall’ European Cybercrime Centre dell’Europol, e da due aziende di sicurezza informatica, Kaspersky Lab e McAfee, con l’obiettivo di aiutare le vittime del ransomware a recuperare i loro dati criptati, senza dover pagare i criminali.
Facendo una ricerca nel sito, o caricandovi un nostro file criptato, potremo trovare (se esiste!) il decryptor per decifrare – gratuitamente – i file.

3) Non fare nulla e perdere i propri dati

Non è una scelta entusiasmante e quasi mai la si può fare, soprattutto per un’azienda. A meno che i dati criptati non siano veramente di scarsa importanza. Anche se dovessimo optare per questa soluzione, consiglio comunque di:
  • Togliere dalla macchina il disco con i file compromessi e metterlo da parte: potrebbe succedere che in futuro qualcuno riesca a trovare il decryptor per decifrare quei nostri file, che potrebbero essere recuperati. Potrebbero passare mesi, ma potrebbe accadere…
  • Oppure (per lo stesso motivo) fare un backup dei file crittografati e poi bonificare comunque la macchina.

4) Pagare il Riscatto

È ovviamente la soluzione peggiore, quella alla quale non si dovrebbe mai arrivare: se paghiamo alimentiamo la criminalità e la rendiamo ancora più ricca e forte.
Ma anche pagando non si ha nessuna garanzia di riavere i propri dati: ricordiamoci sempre che dall’altra parte ci sono dei criminali. Come ho detto precedentemente, anche pagando esiste un 20% di probabilità che non ci venga data la chiave di decriptazione.
Se comunque si decide di pagare il riscatto, i passi da fare sono in genere questi (con piccole varianti a seconda del tipo di malware che ci ha colpito):
  • Leggere le istruzioni che ci sono state inviate con la richiesta di riscatto: serve per capire qual è l’importo richiesto (quasi sempre in Bitcoin, una criptovaluta non tracciabile) e – soprattutto – quanto tempo abbiamo per pagare prima che i nostri file siano persi definitivamente (in genere i cybercriminali fissano una scadenza di circa 72 ore, comunque mai molto lunga).
  • Acquistare i Bitcoin per il pagamento: individuare un sito che faccia “exchange” di questa valuta. Ce ne sono molti e sono pubblici che operano in piena legalità .


  • PROBLEMA se non sei un normale utilizzatore di BITCOIN o altre monete elettroniche ALTCOIN, aprire un account su un normale EXCHANCE  di cambio  e renderlo operativo occorrono a causa delle procedure di autentificazione dai tre ai venti  giorni a seconda dell'EXCHANCE utilizzato.


  • Lo stesso problema ovvero quello delle autentificazioni della propria identità sussiste se si vogliono utilizzare sistemi diversi da quello degli EXCHANGE, come ad esempio aprire un WALLET per contenere e trasferire  le monete elettroniche o aprire una CARTA DI CREDITO che cambia in automatico gli EUR in BITCOIN.

   CONVIENE QUINDI RIVOLGERSI AD UNA SOCIETÀ DI CONSULENZA CHE SI
    
                           OCCUPERÀ DELLA RISOLUZIONE DEL PROBLEMA 
                                          contedistgermaine@yahoo.com
  • Una volta ottenuti i BITCOIN  occorre  trasferire i BTC dal proprio Bitcoin wallet a quello degli hacker. Per raggiungerlo in genere è sufficiente seguire le istruzioni poste sul sito. Il wallet su cui eseguire il pagamento è identificato da un “wallet ID”, costituito da una lunga serie di numeri e lettere come questo: 19eXu88pqN30ejLxfei4S1alqbr23pP4bd. Questo codice traccia il pagamento in forma solo numerica, quindi rende quasi impossibile risalire al nome dell’intestatario del wallet.
  •  ATTENZIONE: L'0perazione di trasferimento dei bitcoin dal nostro wallet a quello degli acker segue la  tempistica della rete BLOCKCHAIN. La transazione non ha una durata standard. I BTC possono arrivare al destinatario dopo un'ora o dopo  tre giorni sforando i tempi imposti dall' hacher che nel frattempo avrà aumentato la posta.
  • Dopo aver trasferito i BTC sul conto degli hacker, riceveremo un altro codice (ancora una lunga serie di numerii e lettere) che rappresenta la conferma della transazione.
  • Ora aspettiamo e speriamo: entro qualche ora (il tempo necessario perché la transazione sia stata processata dai sistemi) dovremmo ricevere un file con la chiave privata di decriptazione, oppure un file eseguibile che procederà a decriptare i file. Affinché la decodifica dei file sia completa, occorre che manteniamo collegati tutti i dispositivi e dischi che erano connessi al momento dell’infezione (altrimenti qualche file potrebbe non venire decriptato)

  •   ALCUNI DATI AGGIUNTIVI
     
    La situazione che emerge non è rassicurante e palesa un livello di vulnerabilità estremamente elevato. Non rallegra certo la cifra del 72,4 per cento degli apparati informatici che – colpiti da ransomware – sono stati riportati in condizioni di ordinaria funzionalità. Il comunque vasto esercito di sopravvissuti non deve il ripristino alla semplice buona sorte oppure al costoso ma banale pagamento della somma estorta dai malfattori andati a segno.
    Questa larga fetta di “fortunati” (ma preferirei etichettarli come “previdenti”) deve il recupero dei dati non al pagamento del riscatto, ma al ricorso alle copie di sicurezza (il comune “back-up”) fatte con regolarità e frequenza serrata e conservate con idonee cautele che le hanno preservate da catastrofici contagi da parte del perfido ransomware (sempre pronto ad aggredire anche tutte le unità di memorizzazione esterne).
    Lo studio sottolinea che l’89,9 per cento di chi si è ritrovato con archivi e documenti indebitamente crittografati ha rifiutato di pagare la somma in bitcoin richiesta per ottenere la chiave di cifratura necessaria per sbloccare le informazioni rese inutilizzabili. Quelli che hanno ceduto al ricatto non sempre hanno recuperato quel che serviva loro: solo il 49,4 per cento è riuscito a “restaurare” le proprie dotazioni informatiche e a riportarle alle condizioni precedenti la micidiale infezione. 
     Il 50,6% si è inutilmente dannato a reperire il denaro virtuale e a procedere all’accredito preteso senza ottenere la soluzione al drammatico problema.
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  • https://it.cointelegraph.com/news/hackers-stole-and-encrypted-data-of-5-us-law-firms-demand-2-crypto-ransoms 

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I codici regalo in AMPLIVO rappresentano la chiave di accesso per l'acquisto di dei CSR plastic credit e per l'eventuale attivazione...