Tasse in Italia
Un enorme
vantaggio del trading di cryptomonete in Italia per le persone fisiche è
la fiscalità.
Non c’è una legislazione specifica per le cryptomonete,
ma vi sono vari interpelli fatti da privati all’agenzia delle entrate,
le cui risposte sono pubbliche e sempre concordanti.
Va specificato che
la risposta dell’ADE ad un interpello è valida solo per chi ha fatto
l’interpello, tuttavia, in mancanza di altra normativa, è l’unico
documento su cui si può fare giurisprudenza. Se l’agenzia delle entrate
dovesse perseguire la persona fisica che abbia realizzato guadagni
grazia alla plusvalenza derivata da trading, questi può dimostrare di
avere agito in buona fede adeguandosi, secondo buon senso, alle risposte
date agli interpelli.
Il Bitcoin
(o altre crypto affini) sono considerati come una moneta estera:
acquistare bitcoin equivale per il fisco all’acquisto di dollari. Se i
movimenti di denaro per le operazioni di cambio non superano il valore
51.645€ nell’arco di 7 giorni, la compravendita (come per il dollaro)
non si considera un’attività speculativa. In poche parole, è come se
comprassimo dei dollari per andarli a spendere negli Stati Uniti: se poi
decidiamo di non spenderli, e li riconvertiamo in euro, non siamo
tenuti a dichiarare al fisco la plusvalenza. Se però movimentiamo più di
51.645€, l’ADE riterrà che in quei movimenti c’è un chiaro intento
speculativo. La cifra è determinata da una vecchia normativa, già dai
tempi della lira, che identificava il limite a 100 milioni di lire. Da
qui il cambio: 100.000.000 / 1936,27 = 51.645. Attenzione però: non si
tratta di attività speculativa se ci limitiamo alla semplice
compravendita.
Se facciamo operazioni a margine, l’ADE potrebbe
applicare una logica diversa. Per movimenti superiori a 51.645€
nell’arco di una settimana, la tassazione è la medesima dei mercati
finanziari come il FOREX, ovvero il 26% sulla plusvalenza.
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